Cosa significa trasformare una visione strategica in un prodotto digitale? Lo abbiamo chiesto a Ennio Donatone, Product Planning & Delivery Lead in Banca AideXa.
Con un percorso che unisce economia, consulenza e passione per la tecnologia, Ennio coordina ogni giorno l’evoluzione dei nostri strumenti digitali.
Ennio, il tuo ruolo è molto tecnico. Come lo spiegheresti a qualcuno che non lavora nel mondo della tecnologia?
Il mio compito è quello di fare da ponte tra il business e la tecnologia. In pratica, prendo gli obiettivi strategici della banca e li traduco in soluzioni digitali concrete, utili per chi le utilizza: che siano clienti, o partner.
Nella pratica, coordino i team di sviluppo, sia interni che esterni, per costruire i prodotti digitali della banca: dall’onboarding per il finanziamento e per il conto corrente, fino ai sistemi che ci girano attorno, come il CRM, l’area riservata, il core banking o il portale per i partner.
Il mio compito è fare in modo che ogni iniziativa sia allineata alla roadmap, fattibile con le risorse a disposizione e soprattutto coerente con la visione di AideXa.
C’è stato un progetto, in questi anni, che ti ha dato particolare soddisfazione?
Sicuramente lo sviluppo dei termometri creditizi, strumenti che abbiamo introdotto nell’onboarding, sia per i clienti sia per i partner, per dare un’indicazione immediata sulla finanziabilità di un’azienda.
Penso sia un'innovazione importante: consente a chi richiede un finanziamento di capire subito, in pochi minuti, che probabilità ha di ottenere credito, senza dover attendere la valutazione manuale. È un passo avanti concreto anche in un’ottica di democratizzazione del credito.
Lo stesso vale per i partner, che ora possono valutare in autonomia la finanziabilità dei loro clienti prima ancora di contattarli: uno strumento che ha creato molto valore e che ci distingue nel panorama bancario.
Nel tuo lavoro devi trovare ogni giorno un equilibrio tra innovazione e fattibilità. Come gestisci questa tensione?
È la mia sfida quotidiana. Da un lato c’è la spinta a innovare, a costruire nuove funzionalità, migliorare i prodotti. Dall’altro c’è il dovere di garantire qualità, stabilità, coerenza e sostenibilità.
Seguo l’intero ciclo di vita del prodotto: dalla definizione dei requisiti alla pianificazione, fungendo da facilitatore nei team tech coinvolti nello sviluppo, fino alla fase di test i cosiddetti user acceptance test. Questo significa che non basta avere idee: devono essere implementabili, funzionanti e ben integrate all’interno di un contesto più ampio.
Quello che ho imparato è che l’innovazione va sempre misurata, non deve essere fine a sé stessa. Serve pianificare in modo adattivo: avere una traiettoria chiara, ma anche la flessibilità per aggiustarla lungo il cammino.
C’è un prodotto digitale, fuori dal mondo bancario, che ammiri particolarmente?
Sì, direi Netflix. È un esempio di grande capacità innovativa. Prima di Netflix nessuno pensava di aver bisogno di vedere film in streaming on demand. Era un bisogno latente, che loro sono riusciti a far emergere. Questo tipo di innovazione, che cambia le abitudini delle persone intercettando i loro bisogni, mi affascina molto.
C’è un mantra che ti influenza nel tuo lavoro?
Più che una persona, direi un approccio. Ho imparato molto dall’abitudine di chiedersi sempre: “Perché lo stiamo facendo?”.
Non è scontato: spesso si portano avanti attività senza interrogarsi sul loro impatto reale. Chiedersi “perché” aiuta a rimanere allineati al valore che vogliamo generare, sia per la banca che per chi ci sceglie come partner.
Un libro che ti ha influenzato?
Direi Il Cigno Nero di Nassim Nicholas Taleb. Anche se è stato scritto prima del Covid, mi ha colpito per il modo con cui descrive l’impatto di eventi rari e imprevedibili, come poi è stato effettivamente il Covid o l’11 settembre, e per come questi possano cambiare radicalmente gli scenari che sembravano stabili o facilmente prevedibili. Una delle intuizioni centrali del libro è che tendiamo a costruire modelli mentali basandoci sul passato, dando per scontato che il futuro si comporterà allo stesso modo. Ma questa assunzione di continuità è spesso fragile.
È una lezione importante anche per chi lavora nella progettazione di soluzioni digitali: serve flessibilità, capacità di reagire, e una certa umiltà nel pianificare, sapendo che non tutto è prevedibile.
Fuori dal lavoro, cosa ti appassiona?
Sono uno sportivo e un grande appassionato di calcio. Ma se penso a cosa mi aiuta davvero a staccare, ti direi la moto. Salire in sella e partire è il mio modo per liberare la mente.
È un momento in cui non penso al lavoro, e proprio per questo paradossalmente spesso mi si accendono delle lampadine. È come se mettessi ordine alle idee in modo inconsapevole.
Se non lavorassi nel mondo bancario, che lavoro faresti?
Mi piacerebbe lavorare nello sport, magari nel team di preparazione o pianificazione di una squadra professionistica, ad esempio di Moto GP. C’è molta più affinità di quanto sembri con il mio lavoro attuale: anche lì bisogna pianificare, adattarsi, ottimizzare risorse e lavorare in squadra. E poi c’è il bello del risultato concreto, visibile.