Elena, in Banca AideXa ricopri il ruolo di Chief Operating Officer. Come si traduce concretamente nel tuo quotidiano?
Significa, prima di tutto, non avere un’agenda scolpita nella pietra. Il mio lavoro è fatto di priorità che cambiano di continuo: posso iniziare la giornata con un piano preciso, ma so già che dovrò adattarlo in base alle necessità. È una sfida continua che richiede grande flessibilità.
Nello specifico, seguo due grandi filoni: da un lato, il governo dell’operatività quotidiana, garantire che la “macchina” funzioni e supportare chi la gestisce.
Dall’altro, la supervisione dell’area tech e delle iniziative del piano operativo tecnologico. Mi occupo sia di indirizzare la gestione delle nuove attività, quelle che ancora non hanno un processo strutturato, sia di costruire l’evoluzione tecnologica della banca nel lungo periodo.
Come si bilancia, in una realtà fintech, la precisione operativa con la velocità dell’innovazione?
Essere COO in un’azienda digitale ha due anime. Da un lato c’è l’operatività, che deve essere solida e affidabile, dall’altro c’è la spinta all’innovazione, che ti permette, nel momento in cui devi industrializzare un processo, di farlo subito con gli strumenti più efficaci.
Il vantaggio del digitale è che la tecnologia può essere un grande acceleratore, se progettata con attenzione sin dall’inizio diventa un differenziale competitivo unico per l’azienda.
Hai un mantra operativo che ripeti spesso al tuo team?
Sì: non rimandare. Se affronti un problema e non lo gestisci completamente lì per lì, se non lo “clusterizzi” nel posto giusto, rischi di ritrovartelo davanti il giorno dopo, ma senza gli strumenti per risolverlo in modo efficiente.
Per me è essenziale completare un lavoro “end to end” al momento giusto: lo imposti, lo esegui, lo formalizzi. Solo così si costruisce una macchina operativa capace di evolvere.
L’altro principio che ripeto spesso sia al team operation che al team IT è che la tecnologia esiste per servire il cliente. L’efficienza e la qualità che il cliente percepisce si costruiscono nel backend: tutto è una catena e ogni anello conta.
Sei anche una delle co-fondatrici di Banca AideXa. Cosa ti ha insegnato il costruire qualcosa da zero?
Mi ha insegnato tantissimo. Soprattutto il senso della responsabilità: ogni decisione, anche piccola, ha un impatto immediato. Ogni scelta (se farla oggi o domani, come farla...) ha un peso. È un’esperienza totalizzante, che ti coinvolge a tutti i livelli.
E poi c’è una componente emotiva: vedere un’idea che hai contribuito a costruire crescere e diventare una realtà importante… ancora oggi mi sembra incredibile.
Che percorso ti ha portato fino qui?
Ho iniziato la mia carriera in Accenture, dove ho lavorato per dieci anni a progetti internazionali di implementazione tecnologica, in ambito logistico-industriale. Lì è emersa la mia anima ingegneristica: sono sempre stata affascinata dal capire come funzionano le cose.
Poi sono entrata nel mondo delle finanziarie. Ho lavorato per 14 anni nel gruppo Fiat, partendo da project manager e arrivando a dirigere il settore IT nel mercato italiano della finanziaria, proprio nel momento in cui stavano creando una banca. Una delle esperienze più significative è stata la trasformazione di tutti i sistemi del gruppo per poter acquisire la licenza a bancaria: un progetto enorme.
Quella fase mi ha lasciato una convinzione: se un giorno avessi potuto creare una banca digitale da zero, l’avrei fatto. Quando Roberto Nicastro mi ha parlato del progetto AideXa, non ho avuto dubbi: era il momento giusto.
Se non avessi lavorato nel mondo bancario, cosa avresti fatto?
Sicuramente l’interior designer. Ho una grande passione per i colori, i tessuti, l’accostamento dei materiali. A casa mia c’è sempre un angolo in trasformazione, un esperimento in corso. Amo tutto ciò che è artigianale, non standardizzato.
E poi, prima di iscrivermi a ingegneria, ero tentata da giurisprudenza: mi ha sempre attratta anche il mondo delle regole, dell’organizzazione, dei meccanismi che fanno funzionare “bene” le cose.
Qual è la tua “super skill” nella vita di tutti i giorni?
L’organizzazione e la capacità di calcolare. Ho una mente molto “quantitativa”: riesco a stimare in modo rapido e preciso qualsiasi situazione, e questo mi aiuta tanto nel lavoro, ma anche nella vita quotidiana. È una forma di efficienza mentale che applico a tutto tondo.
Quando hai bisogno di staccare, qual è la tua via di fuga?
Credo sia fondamentale avere una piccola via di fuga quotidiana, un momento in cui ricaricarsi per ripartire. Ho imparato che essere stakanovisti non è la strada giusta: prendersi cura di sé è parte del lavoro, perché ti rende più lucida, più efficace.
Nel mio caso, correre è il modo più immediato per liberare la mente: sono una runner e cerco di ritagliarmi sempre il tempo per farlo. Poi amo il cinema, viaggiare, andare alla scoperta di posti nuovi.
Mi piace curiosare, soprattutto nei negozi particolari: cerco bellezza, oggetti vintage, mercatini, pezzi unici.
Anche il cibo per me è un’esperienza: mi piace mangiare bene, ma soprattutto andare in quei ristoranti dove il cibo diventa una forma d’arte, un racconto.